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Tra le frasi pubblicate dalle chat dei giovanissimi aggressori, cito queste due come istantanee di cruda efficacia sull’aberrante stupro avvenuto a Palermo lo scorso luglio, che ha molti aspetti in comune con la violenza sessuale di gruppo sulle due bambine tredicenni, avvenuta purtroppo altrove e solo pochi giorni dopo.
In tanti in questi giorni si sono espressi nei modi più disparati per commentare l’accaduto: tra i comprensibili riferimenti alla cultura patriarcale, emergono anche chiare richieste di inasprire le pene, o ancora insinuazioni riguardanti la vittima e persino l’ipotesi di un suo atteggiamento “facile”.
Cercare le cause: alcune riflessioni
La realtà è che le cose da considerare sono tante e sfaccettate, e richiederebbero un’analisi accurata una per una: ora cercherò di sollevare qualche spunto di riflessione in base alla mia visione che è quella di una psicologa, anche se è davvero molto complesso prendere in esame tutti gli elementi in poche righe.
Ciò che è indubitabile in questi momenti è la necessità di tutti di individuare le cause, di comprendere e spiegare, poiché di fronte ad atti così terribili tutte le certezze si sgretolano: è impossibile ignorare e continuare come se nulla fosse.
Stupro di gruppo: la potenza delle dinamiche del branco
Un aspetto fondamentale da considerare è che, sebbene episodi di violenza contro le donne (molti in ambito domestico) siano purtroppo all’ordine del giorno – tra stalking, revenge porn e femminicidi – qui ci troviamo di fronte a qualcosa di differente: uno stupro di gruppo, dove emerge in tutta la sua inquietante potenza la dinamica del branco.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che un branco è composto da individui, giovani e adolescenti. E quindi, inevitabilmente, ci si interroga sulle ragioni che abbiano spinto questi ragazzi a sprofondare nell’abisso della violenza contro una giovane ragazza e contro la sua dignità.
La spiegazione va ben oltre l’emulazione di video da You Porn – come hanno detto alcuni – una risposta troppo semplice, considerando che tali reati persistevano ancor prima dell’accesso facile a Internet.
Allo stesso modo, ridurre la violenza maschile contemporanea unicamente alla persistenza di una cultura patriarcale che considera le donne come oggetti ed esseri inferiori è un’analisi che trovo ancora troppo riduttiva.
Un elemento cruciale secondo me da esaminare in questi contesti culturali è l’identificazione del maschio con l’idea di virilità e con l’interpretazione corrente della mascolinità. Benché i primi passi verso la rivoluzione di genere, con la parità e con modelli maschili più aperti e “affettivi” a sfidare l’antico mito del padre-padrone, risalgano agli anni ’60 e ’70, i maschi nel tempo hanno continuato a dominare in molti contesti, persistendo nella ricerca di qualità “virili” e nel riconoscimento della “mascolinità”.
Questa tendenza si è trasmessa anche alle generazioni successive, sempre più carenti di direzionalità e di ideali di riferimento chiari da parte delle figure genitoriali. Il passaggio dalla pubertà all’adolescenza anche oggi si identifica ancora con la dimostrazione della propria virilità, una prova in cui il gruppo dei pari gioca un ruolo fondamentale: sono proprio gli amici a conferire il “bollino” di mascolinità, facendo sì che i più fragili ricorrano al bullismo per dimostrare il proprio valore all’interno del gruppo dei maschi, o meglio degli “uomini”, e quindi poter certificare il loro esserne degni.
Influenze culturali e aspirazioni non realistiche
Oltre a quanto detto, bisogna tenere conto della cultura contemporanea, che quando è povera di ideali valoriali, troppo spesso promuove il potere e il culto dell’immagine, enfatizzando l’individualismo e portando a rappresentazioni di sé spesso narcisistiche: questo riduce la capacità di entrare in relazione con gli altri, complice anche l’eccessivo e precoce utilizzo – senza regole né monitoraggio da parte degli adulti – del mondo virtuale, che amplifica l’alienazione dei più giovani dalla realtà, creando un divario pericoloso.
L’altro – specie se femmina – diventa così uno strumento di autorealizzazione, non più il soggetto con cui entrare in una relazione paritaria di condivisione e scambio.
Come se non bastasse, spinti a raggiungere il successo da genitori ambiziosi pressanti con richieste di alti livelli di performance, molti ragazzi finiscono per crescere con aspettative irrealistiche. Quando queste aspettative si scontrano con la realtà, possono provocare livelli ingestibili di rabbia e frustrazione, portando all’isolamento sociale o alla dipendenza dal branco, con tutte le dinamiche problematiche che ne possono conseguire.
Prevenire: molto meglio che dover punire
In realtà inasprire le pene in questo contesto come propongono alcuni non è una vera risposta: come genitori, adulti, insegnanti, educatori, dobbiamo in primo luogo concentrarci sull’educazione, come migliore strategia di prevenzione. Fin dai primi giorni di vita dei piccoli, dobbiamo osservarli e capire cosa ci comunicano e di cosa hanno bisogno, abbandonando modelli educativi rigidi e inadeguati nel comprendere ad esempio la mobilità tra una polarità e l’altra, per imparare a gestire in modo costruttivo emozioni intense o “scomode” come la frustrazione e la rabbia dei bambini.
Ritrovare il contatto con la realtà e con le proprie emozioni
L’eccessiva stimolazione del mondo digitale rende inoltre i bambini irrequieti e distanti dalla realtà. Faticano a concentrarsi, a utilizzare tutti i sistemi sensoriali (nel privilegiare il senso visivo come richiede lo schermo), a entrare in contatto profondo con le loro emozioni e con la bellezza di ciò che li circonda.
Diventa quindi importante insegnare loro a vivere nel presente, a utilizzare tutti i sensi e a connettersi con le proprie intime emozioni.
Educhiamoli da subito al bello, ritagliamoci con loro momenti di calma e tranquillità, facciamo in modo che imparino e sentire i loro bisogni, allontanando sentimenti di vergogna e inadeguatezza.
Educhiamo al rispetto e al consenso
Dalla più tenera età, dobbiamo insegnare loro il rispetto, partendo dalla considerazione dell’altro: iniziando da giochi e attività che promuovono il rispetto reciproco, i nostri piccoli imparano che il consenso nelle relazioni tra le persone è fondamentale; che il “NO” – proprio e altrui – va rispettato e non corrisponde a nessun tipo di “sfida” da raccogliere.
Nel gioco, il bambino acquista la capacità di rispettare gli altri, ma questo avviene solo se i suoi bisogni vengono ascoltati: se viceversa non gli è permesso esprimere il proprio dissenso per timore, come possiamo aspettarci che impari a rispettare le opinioni altrui? Questo non va confuso ovviamente con l’accogliere ogni capriccio, ma implica il comprendere le ragioni che si nascondono dietro a esso.
Educare i nostri bambini e gli adolescenti oggi è più difficile, ma è cruciale. Richiede il dedicare del tempo all’osservazione attenta dei nostri figli e il guidarli con affetto verso uno sviluppo che favorisca l’emergere del loro sé più autentico.
Nel farlo dobbiamo lavorare su noi stessi e prestare attenzione ai segnali che ci mandano i nostri figli; dobbiamo imparare a gestire il nostro disagio insieme al loro, facendoci aiutare, quando necessario, da figure esperte, come gli psicologi e i pedagogisti.
Solo sulle basi di un’educazione basata sulla comprensione, sull’ascolto e sull’amore possiamo sperare di prevenire tragedie come lo stupro di gruppo e preparare le future generazioni a una società migliore.
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Susanna Grassi, psicologa
“In poche sedute posso aiutarti a sviluppare strategie percettive e comportamentali che nutrono il tuo benessere psicofisico e l’autostima.”